20 Luglio 2017

Storie di un rifiuto

Di designer, committenti e progetti da rivedere

Sul tema del rapporto tra designer e cliente abbiamo letto davvero di tutto: la rete pullula di racconti e di meme tragicomici, spesso tratti da storie vere. Ci sono anche i forum e i guppi di facebook per il mutuo soccorso tra grafici. È qui che si va come si andrebbe al pronto soccorso, in attesa che qualcuno dall’altra parte ci indichi che cosa sta succedendo e che cosa dobbiamo fare.

Spesso le richieste di aiuto si somigliano tutte, riducendosi a rassegnazioni del tipo: il cliente non capisce niente, il cliente invia i loghi in formato word, il cliente mi scrive in comic sans.

Intendiamoci, troviamo sia lodevole condividere le proprie esperienze e dispensare consigli, d’altro canto però crediamo che tutto ciò non costituisca un sano dibattito critico. Spesso si finisce con l’alimentare l’idea distorta secondo cui il cliente rappresenti il male.

Citiamo un articolo di 

redazione progettografico:

Storicamente, i clienti industriali, commerciali o istituzionali non hanno soltanto fornito ai grafici opportunità di lavoro e sostegno economico. Hanno anche influito sulle loro scelte progettuali e giocato un ruolo importante nel costruire l’immagine che i designer hanno di sé come professionisti. Eppure, il committente è un protagonista quasi sempre dimenticato nel discorso sulla grafica.

— Clienti e committenti di Carlo Vinti e Davide Fornari. Lo trovate qui:

https://medium.com/progetto-grafico/clienti-e-committenti-e505c43cca4a

Storie di un rifiuto

Oggi proviamo anche noi a dare un piccolo contributo al dibattito, partendo proprio dai no ricevuti dai committenti. Sappiamo bene che le sconfitte e gli errori costituiscano delle opportunità di crescita. Allo stesso modo, crediamo che i rifiuti possano renderci persone e professionisti migliori.

In studio ci siamo confrontati su alcuni punti nodali; prima di tutto abbiamo provato a descrivere com’è andata l’esperienza del rifiuto e che cosa abbiamo imparato da essa. Se siamo riusciti a comprendere le necessità del nostro cliente e che cosa non andava nel progetto proposto. Abbiamo parlato anche dei nostri stati d’animo e di come abbiamo vissuto questa prova. Abbiamo anche toccato una questione su cui ci si interroga dalla notte dei tempi: è possibile in qualche modo riciclare le idee bocciate?

Infine, sebbene le nostre esperienze siano tutte diverse, ci siamo chiesti se i rapporti tra designer e committenti delle volte non seguano le stesse dinamiche di certi “affari di cuore”. Ci si innamora di un cliente e delle sue potenzialità — ci si innamora cioè di quello che crediamo di intravedere in lui — a tal punto da prendere un abbaglio. Crediamo che lui sia finalmente quello giusto, quello per cui fare il progetto migliore di sempre, fare cose davvero innovative, fare l’una di notte allo schermo.

Poi improvvisamente il fatidico no! Il progetto è da rivedere tutto e in un attimo realizziamo che il suo “mondo” non corrisponde a quello che gli avevamo disegnato addosso. E che lui in fondo, non era esattamente come lo avevamo immaginato.

Eccovi dunque i nostri racconti.

Veronica

Io non ho particolari esperienze nel settore con clienti importanti. Se vuoi sapere alcuni sentimenti che sono emersi dopo rifiuti o progetti da modificare, sono inadeguatezza (delle mie personali capacità), stimolo per fare maggiori ricerche e approfondire le esigenze del cliente, provare a rispiegare il valore di quanto progettato. Rassegnazione. Lieve sconforto iniziale seguito da rielaborazione e superamento.

Giorgio

Io penso che nel rifiuto ci sia sempre un’opportunità. Non do mai la colpa al cliente e nemmeno mi strappo le vesti, mi concentro sul timing. Semplicemente non era il momento giusto per cominciare quel percorso, il mio spunto è questo: sono tempo e progetti che fanno un successo, non solo la qualità degli stessi. Kazaa è morto, Napster no :-).

Essendo permaloso me ne esco sempre con un “chi non ci vuole non ci merita”.

Daniele

Personalmente, sia che io abbia il ruolo del freelance che dell’art director o dell’account, non mi è ancora mai capitata una bocciatura definitiva ad un progetto. Generalmente per budget e/o timing qualcosa non parte, ma si rimane nell’universo delle parole, delle idee e delle intenzioni. Quando si supera questo e si approda al mondo del visivo e del concept di progetto cerco sempre di portare più strade e suggerire più suggestioni al cliente, anche perché lo vedo sempre come un processo collaborativo e sono assolutamente contro il progetto calato completamente dall’alto ma credo di più all’intersezione di un processo top-down e bottom-up. Poi con qualcuno questo può accadere fin dall’inizio, con qualcun altro lo si fa di revisione in revisione, altri ancora non ne hanno interesse (fortunatamente o sfortunatamente pochi, dipende dal punto di vista e dal progetto!).

Che cosa ho imparato? In genere questo approccio porta (quasi) sempre ad arrivare a soluzioni ibride, concept-chimere che mescolano più idee e ne suggeriscono di nuove. In questa situazione il progettista è un mediatore e un facilitatore, blocca idee troppo strampalate e suggerisce soluzioni di integrazione. Il cliente invece è partecipe del processo progettuale, ne comprende anche maggiormente la complessità e il valore. In qualche modo, alla fine del processo, molte idee vengono scartate, alcune rimangono e altre si aggiungono, quindi potrei dire forse che quasi ogni “mio” progetto è stato rifiutato, ma i progetti che sono diventati parte della sfera del “noi” hanno sempre raggiunto il loro obiettivo. Certo delle volte questo viaggio con il cliente può essere faticoso e anche frustante, ma in qualche modo c’è sempre uno scambio che porta a nuovi stimoli. In questo senso penso che non bisognerebbe mai innamorarsi troppo di un’idea, ma essere aperti a metterla in discussione.

Se invece si possono riciclare i progetti? Secondo me alcuni concept possono essere il punto di partenza per più di un progetto e fare al caso nostro in diverse situazioni. Se a questi si aggiunge l’unicità del progetto che si affronta e un processo di contaminazione reciproca tra tutti i componenti del team (dall’account, al designer, al collaboratore occasionale, al cliente), i risultati saranno sempre diversi. Per me un rifiuto non è un muro di mattoni, ma un’occasione di lavorare insieme e raggiungere obiettivi condivisi. Poi i muri capitano e ce ne faremo una ragione!

Illustrazione scartata in una fase di progetto

Mariangela

La metafora delle storie d’amore mi sembra la più azzeccata: l’esperienza che vorrei raccontare è infatti un tira e molla durato a lungo. I rifiuti nel mio caso sono stati tanti ed ogni volta mi pesavano come occasioni mancate. Il committente aveva dei valori e delle idee molto forti. Purtroppo lavorando insieme non siamo mai riusciti a trovare il modo per farli emergere pienamente. Ero giovane e con poca esperienza, perciò ci ho messo più tempo del dovuto a capire che non ero io la persona adatta a loro e che quindi dovevo lasciare andare. O ne andava di mezzo la mia salute mentale.

Il motivo dei “no” era sempre lo stesso: il committente aveva delle idee fisse per cui non ammetteva in nessun modo di aprirsi al confronto. Idee che mi sembravano confuse e volubili, perciò difficili da perseguire. Non andava mai bene niente, nemmeno quando eseguivo alla lettera le sue richieste.

Lo confesso, molto tempo dopo ho provato a riciclare qualcuna delle proposte rifiutate, però senza successo. Sebbene si trattasse di cose riutilizzabili anche in altri contesti, erano troppo legate alla mia “storia” con lui.

Laura

C’è una cosa del mio mestiere che non mi è mai andata giù, ed è quella specie di dinamica performativa delle presentazioni in stile mad men che prevede che tu, con la tua cartella sottobraccio e armato di buone speranze e molti bozzetti, ti rechi dal cliente che, seduto su una sedia fantozziana, giudica il tuo lavoro con dei “sì”, “no”, “mi piace”, “non mi piace”.
I rifiuti peggiori li ho raccolti in queste situazioni, specie a inizio della mia carriera, comprendendo molto presto che la mediazione non è sempre possibile. Quello che sto dicendo può suonare molto snob, ma in realtà è molto semplice: una relazione professionale è prima di tutto una relazione umana, e le relazioni migliori quasi sempre sono quelle in cui si condividono un’intenzione e una serie di valori. Non siamo tutti adatti a tutti.

Quando qualcosa mi viene rifiutato la prendo sempre malissimo e gli anni di esperienza non mi hanno ancora insegnato la lezione del primo giorni di progettazione “non innamorarti dei tuoi progetti”. Io mi innamoro di tutti i miei progetti, non riesco mai ad essere misurata. Ho imparato a dissimulare e razionalizzare, ma nel profondo del cuore continuo a soffrire!

Il mio “rifiuto peggiore” è arrivato all’interno di una riunione. Facevo il freelance da pochi mesi e mi mancava totalmente una visione di contesto che ho poi maturato negli anni di libera professione. A pensarci ora, il rifiuto è arrivato proprio per quel motivo: non ero riuscita a capire con quali strumenti culturali e narrativi avrei dovuto accompagnare il committente. Avevo avuto fretta, la mia idea era ovviamente eccellente, ero stata troppo irruenta.

Ricevuto il “gran rifiuto”, ricordo, sono rientrata a casa e ho passato davvero una brutta settimana: tenevo tanto a quell’idea progettuale, mi sembrava perfetta nel suo equilibrio tra linguaggio contemporaneo e riferimenti classici, come potevano non averla capita! Per una decina di giorni ho messo in discussione tutti i miei punti fermi, valutato di cambiare mestiere, scritto e cestinato una decina di mail per perorare ancora anche la mia causa sebbene fuori tempo massimo — nemmeno una dodicenne la prima volta che viene lasciata dal fidanzatino e tenta di convincerlo a rimettersi insieme!

Per fortuna poi si cresce, e si tenta di portare la propria personalità emotiva nel lavoro per costruire valore anziché demolire — così nel tempo ho cercato di convertire la passionalità che propria è della mia indole in volontà operativa e tenacia. A volte ci riesco, a volte no — e sono sempre così ammirata dei colleghi davvero interpretano il senso della parola “mediazione”. Li ammiro e lavorare in team con loro, dopo tanti anni da freelance/eremita, mi sta aiutando molto.

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