19 Gennaio 2015

Uno, nessuno, centomila (punti di vista sulla dataviz)

Venerdì scorso si è svolto a The Fab, a Verona, il decimo appuntamento con Pillole di Futuro, il format itinerante di micro storytelling che organizziamo insieme a Marketing Arena.
Fare un “Pillole di futuro” è, per noi di Ida, soprattutto un’occasione di studio, un bel pretesto per prenderci il tempo di toccare temi che ci stanno a cuore. Stavolta l’argomento che abbiamo scelto è uno “caldo” per chi fa il nostro mestiere: la visualizzazione delle informazioni. Abbiamo provato a interpellare chi con questo ci lavora, ma da due sponde diverse: quella del design e quella del marketing, configurando una lineup piuttosto eterogenea. Il confronto tra queste due anime ha tenuto accesa la serata, grazie anche alla moderazione intelligente di Stefano Schiavo, padrone di casa insieme agli altri ragazzi di The Fab, che ringraziamo.
Cosa divertente: questa volta abbiamo anche organizzato una piccola call for designer, ospitato tre neolaureati che ci hanno raccontato le loro tesi.

La data visualization è una una moda passeggera? Se lo è, questo è un bene o un male? E come la analizziamo: chiamando in causa teorie gestaltiche, neuroscientifiche, o ci appelliamo alla statistica?
È sensato usare uno dei numerosi tool esistenti, o il lavoro è troppo artigianale per essere ridotto a un preset?

Visualizzare i big data dovrebbe essere il modo migliore di rilevare dei pattern la cui comprensione incide nei processi di decision making. Per me le domande sull’argomento sono soprattutto tre, e ho provato a farle ai relatori.
Il racconto. Quanto pesa la creazione di una struttura narrativa nella progettazione di un oggetto di information design. Che relazione c’è tra design e giornalismo, tra la fedeltà all’informazione e la necessità di spiegarla, divulgarla. O, anche: c’è il rischio di “complicare affari semplici”?
Dice Jon Moon nel suo How to make an impact: “Would words be better? Should you do a graphic at all?”
La misurazione dell’efficacia. In molti cercano di individuare modalità di misurazione, di controllo dell’efficacia degli oggetti informativi. Alberto Cairo per esempio teorizza la “ruota della visualizzazione”, articolata tra polarità di valori per l’analisi delle infografiche. Uno strumento è efficace quanto più produce un risultato vicino all’obiettivo, ma l’obiettivo è sempre informare o a volte anche emozionare?
La bellezza. Quanto pesa ciò che noi riconosciamo come “bello”? Sappiamo, perlomeno dagli esperti di usabilità, che pesa, e non poco. Eppure ci sono posizioni molto diverse.

Quello che ho trovato fertile nella serata, a parte la qualità davvero elevata dei progetti presentati (un onore accoglierli) è stato interrogarsi intorno a una sorta di “determinismo del dato”, così se non mi sbaglio l’ha chiamato Stefano: avere dati alla mano è prezioso perché ci libera dal rischio di prendere decisioni irrazionali o inconsapevoli, offrendoci scenari più completi e chiari, ma rischia anche di omologare le nostre decisioni? C’è competizione tra decisioni umane e decisioni basate sui dati? Ha senso individaure questa contrapposizione?

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