Do you know me?
Il racconto del workshop di AIAP Design Per
Ho già spiegato in questo articolo perché, nell’ambito del progetto Pillole di Futuro, abbiamo scelto di ragionare intorno al curriculum vitae e alla rappresentazione di sé. AIAP mi ha chiesto di tenere, all’interno di Design Per, un workshop di una giornata con l’obiettivo di lavorare proprio su questo, sui modelli di rappresentazione di sé.
Per parlare di questo laboratorio vorrei sfruttare due poesie — e chiedo scusa se lo farò con l’approccio dell’amatore, non sono un’esperta di letteratura — , sperando di fare un discorso pertinente nel riferimento che questi testi hanno avuto su di me personalmente nel farmi riflettere sul laboratorio.
Nel 1920 Robert Lee Frost scrive una delle più famose e pervasive (va di moda usare la parola “ubiquitous”) poesie della letteratura anglosassone, entrata nella cultura popolare e in decine di commercial moderni, “The Road Not Taken”. Io stessa la prima volta l’ho sentita citare in un telefilm, lo ammetto senza troppe scuse.
Two roads diverged in a yellow wood,
– Robert Lee Frost, “The Road Not Taken”
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;
L’immagine della biforcazione nel bosco mi è tornata in mente decine di volte in questi anni, mentre conducevo, insieme al film maker Alberto Gambato, le interviste del documentario Non Résumé, che in effetti cristallizza per nove persone quel momento della possibilità che si chiude, e del mondo che rimane in potenza.
Come designer della comunicazione, abbiamo senz’altro una fascinazione particolare verso tutto ciò che ci racconta e ci descrive. Ho sempre trovato divertente questo stare a cavallo tra l’istanza di codificare e organizzare le informazioni (impaginare un curriculum vitae) e quella più espressiva, che a volte alcuni di noi cercano di non far emergere (una pulsione all’autoritratto, la definirei).
E gli esempi sono celebri. Nicholas Felton che traccia i suoi spostamenti quotidiani e le sua attività realizzando i propri Feltron Annual Report (da una sua idea il tool per farlo tutti, l’app Reporter); Stefan Sagmeister che utilizza il proprio corpo come strumento di esplorazione progettuale; e la fotografia come autoritratto, e le sperimentazioni infinite dei designer grafici nel disegnare iterativamente, forse per tutta la vita, il proprio set di modulistica.
Mercoledì 27 settembre, in un’aula della Facoltà di Design e Architettura della Sapienza, abbiamo lavorato in un paio di direzioni. Da un lato abbiamo elaborato un algoritmo per una data visualization, costruita in NoteBox3 da Daniele De Rosa, che assorbendo i dati di un questionario a cui tutti i partecipanti hanno risposto, potesse generare in modo dinamico una rappresentazione su più livelli. Non solo formazione e professioni, come canonicamente in un curriculum, ma anche tutte le attività che non vi finiscono abitualmente, le esperienze, gli incontri, le telefonate, le carriere sportive interrotte per un infortunio, i consigli ricevuti che hanno orientato una decisione, le bocciature, le cose non portate a termine.
Ecco qui i dieci partecipanti al workshop secondo i loro non curriculum:
Il poster è solo un punto di partenza. Questa per esempio sono io:
L’esercizio può continuare. Se penso ai tre bivi più significativi del mio percorso, anche questa sono io:
O questa, se decido di raccontare due consigli che ho ricevuto che mi hanno dato filo da torcere e motivo di riflettere:
O anche questa, se mi concentro sul passare del tempo:
Abbiamo chiesto anche ai partecipanti di ridisegnare il proprio poster partendo dalla data visualization. Abbiamo avuto delle sorprese interessanti: Chiara, ad esempio, ha scelto di costruire una sorta di partitura in cui le pause (i vuoti, i momenti di riflessione) erano portati in evidenza quanto i “pieni”. Angela invece ha lavorato portando in evidenza la geografia, evidenziando come ogni decisione o percorso fosse legata a doppio filo con il luogo in cui era stata presa. Maria Elisabetta ha confrontato la differenza curriculum e identità, tanto per fare qualche esempio.
Con l’aiuto di Enrica Crivellaro, formatrice e coach, abbiamo costruito una serie di attività di lavoro di gruppo e analisi, che hanno portato i partecipanti a riflettere e poi raccontare al gruppo quali fossero stati i momenti in cui, nel proprio percorso, si erano sentiti motivati e coinvolti — e riflettere poi, quasi in un esercizio di fiction design, su più vite possibili.
Che cos’è necessario?
– Wisława Szymborska, “Scrivere un curriculum”
È necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si è vissuto
è bene che il curriculum sia breve.
È d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Inizia così “Scrivere un curriculum” di Wisława Szymborska, poesia che non conoscevo e che mi è stata segnalata da Cinzia Ferrara, presidente AIAP, mentre preparavamo il workshop. Vi consiglio di recuperare “Vista con granello di sabbia” e leggerla, perché spiega in modo cristallino perché stiamo cercando di ragionare su curriculum e biografia.
Bibliografia
Bill Burnett, Dave Evans
“Designing Your Life: how to build a well-lived, joyful life”
Wisława Szymborska
“Vista con granello di sabbia, Poesie 1957–1993”
Sitografia
Nicholas Felton
Reporter di Nicholas Felton
A proposito di “The Road Not Taken” di Frost
Grazie a Cinzia Ferrara per avermi fatto conoscere “Scrivere un curriculum” di Wisława Szymborska