Perché il curriculum ci sta stretto
Nel CV non c’è mai abbastanza spazio per tutto. Qualcosa continua inevitabilmente a sfuggire.
di Laura Bortoloni
Qui a Ida Studio ci occupiamo di curriculum vitae da diverso tempo. Questo nostro interesse è nato con Non resume. Oggi vorrei condividere con voi alcune riflessioni nate attorno ad una semplice domanda: che cos’è un curriculum vitae? Come spesso accade, l’etimologia delle parole è il modo più semplice per avvicinarsi al significato delle stesse. Proviamo a rispondere alla mia domanda.
Curriculum vitae sta per “carriera, corso della vita”. Più nello specifico, “curriculum” deriva dal latino currĕre, ovvero «correre», suggerendoci un’idea di linea temporale e di sequenza. La corsa è qui intesa anche nel suo significato di sforzo e di velocità, di spostamento da un punto di inizio ad un punto di fine. Da una start line ad una finish line.
La lingua tedesca ci offre in questo senso un’immagine ancora più chiara: “Lebenslauf”, il curriculum, è una parola composta da Leben «vita», e Lauf «corsa». Lebenslauf enfatizza più marcatamente l’idea della corsa e della successione di eventi.
La lingua francese indica con “résumé” l’oggetto che riassume le proprie competenze ed esperienze. Résumé deriva da résumer, «riassumere», che a sua volta deriva dal latino resūmĕre. Résumé indica dunque scegliere — ed implicitamente scartare — delle informazioni. L’inglese moderno utilizza una parola di chiara derivazione francese: Resume. Ora, al di là della sfumatura culturale tra Europa (CV) e mondo anglosassone (Resume), tra linguaggio accademico e linguaggio del business, la faccenda è all’incirca la stessa.
Quindi, che cosa è il curriculum vitae?
È un documento che sintetizza una corsa, elencandone le tappe principali e lasciando indietro quelle secondarie. Il curriculum si diffonde come documento codificato nel secondo dopoguerra, anche se non mancano esempi celebri risalenti a epoche antecedenti. Molti definiscono come antesignano del CV moderno una lettera scritta da Leonardo da Vinci. La citano in molti, dagli esperti di Human Resources ai guru del personal branding. Nel 1482, mentre è a Firenze alla corte di Lorenzo il Magnifico, Leonardo scrive una famosa lettera di presentazione a Ludovico il Moro, allo scopo di trovare lavoro presso la corte degli Sforza.
Mi lascia sempre perplessa questo appropriarsi di eventi del passato per rileggerli in salsa personal branding; in ogni caso, le analisi più recenti della lettera di Leonardo, concordano sul fatto che si tratti a tutti gli effetti di un curriculum moderno. Questo perché elenca i dati per bullet point, agevolando il lettore nell’individuazione delle informazioni, ed “orienta” i contenuti per il suo interlocutore. Leonardo infatti non si dilunga sulle cose per cui era già famoso (la pittura ad esempio), ma spiega piuttosto le sue qualità di ingegnere al servizio dell’industria bellica, aspetto che lo rendeva più interessante agli occhi del suo potenziale datore di lavoro.
Ho modi de ponti leggerissimi et forti, et atti ad portare facilissimamente, et cum quelli seguire, et alcuna volta fuggire li inimici, et altri securi et inoffensibili da foco et battaglia, facili et commodi da levare et ponere. Et modi de arder et disfare quelli de l’inimico.
— Leonardo da Vinci, Curriculum Vitae
Torniamo al secondo dopoguerra. Negli anni ’50 e ’60 inizia a diffondersi la pratica di compilare un CV. E inizia anche a fiorire una letteratura di testi orientati alla motivazione e alla filosofia del successo. Dagli antesignani, come “Think and grow rich” alla quantità cospicua che popola gli scaffali di Amazon oggi.
È il 2003 e arriva Linkedin con i suoi alti e bassi che, con la nota fatica, riesce in qualche modo a diventare uno standard (per quanto poco amato). Anche Linkedin segue la rappresentazione cronologica della carriera, introducendo dei criteri nuovi di valutazione: le persone tra i nostri contatti ci “recensiscono”, il che genera anche situazioni buffe, competenze strambe, o dinamiche del do ut des, tipiche delle relazioni sui network sociali.
Nel 2011 LinkedIn introduce inMaps, un esperimento che avrà vita breve. inMpas era un tool che permetteva di visualizzare le proprie reti professionali e dava un nuovo senso al concetto dei sei gradi di separazione.
Con Linkedin si afferma una cospicua serie di trend sulla visualizzazione; di conseguenza nascono numerose startup che sfruttando il design per template e risucchiando api e informazioni di vario genere, interpretano i dati di Linkedin ed offrono visualizzazioni dedicate. Tra queste segnalo Vizualize.me, ResumUP e VisualCV. Si tratta di tool che propongono delle rappresentazioni visuali tutt’altro che banali; nell’ultimo caso c’è anche un editor per costruire la propria versione su misura. La necessità di trovare strumenti più adatti di Linkedin è palpabile.
Frog Design ipotizza in questa nota degli scenari in cui i personal data potranno tratteggiare il nostro curriculum qualitativamente, descrivendo non solo cosa abbiamo fatto ma anche come lavoriamo (ore al computer, tempo speso in relazioni, pause caffè, etc). Anche Europass dice la sua in questi anni, con il merito di introdurre degli standard europei, e il demerito di aver generato le presentazioni visivamente più noiose di tutta la nostra carrellata.
Wow and flat
Dopo alcuni esempi presi dal passato, vediamo più da vicino cosa accade oggigiorno. Al momento i trend più significativi sono due: la spettacolarizzazione e l’appiattimento dei cv.
I modelli vengono esplosi, nel tentativo di far fronte alla fatica di riconoscersi nel template di Europass o nel framework di Linkedin. Alcuni privilegiano la parte iconografica, altri privilegiano la parte narrativa; così mentre gli sviluppatori front end producono videogiochi per raccontare le proprie skill , i designer riempiono i cv di pie chart per l’autovalutazione delle proprie competenze in percentuali. E i colloqui, inevitabilmente, si fanno sempre più bizzarri.
Come se non fosse abbastanza, su youtube trionfano i videocurriculum, generando esiti di vario tipo; si va dai più naif ai meno felici (questi ultimi non li linko, li potete scovare da soli cercando “videocurriculum” su youtube).
Leave. It. Out.
Riassumendo: l’idea è che il curriculum vitae c’entri con la corsa, con la sintesi. Con una direzione, poiché si corre per raggiungere un obiettivo. E per sintetizzare, giocoforza, qualcosa la si elimina. Ma in pratica come si fa? Non temete: di consigli ne è pieno il web e ne ho già scovato qualcuno. Su Internazionale ad esempio appaiono dei vademecum che invitano ad essere sintetici e pertinenti. E se foste rimasti su youtube, incapaci di scollarvi dal loop dei videocurriculum, potreste darci finalmente un taglio; seguite piuttosto uno di quei tanti guru desiderosi di iniziarvi al cv che lascia il segno.
Per quanto riguarda i designer, vi sono dei portali che si offrono di dare supporto chi è in difficoltà e non riesce ad incontrare l’agenzia o il committente giusto (ad esempio l’inglese Design Jobs Board). E pullulano gli articoli su come scrivere un curriculum specifico, come in questo pubblicato su Eye (dove i consigli sono sempre gli stessi: trascura i cliché, e parla solo delle cose interessanti).
When it comes to personal statements and hobbies and interests I would steer clear unless there is something genuinely interesting to say. The clichés always come trotting out, and they are a waste of space — ‘enthusisatic, positive and hardworking’; ‘love for music, cinema and socialising.’ Leave. It. Out.
— Mike Radcliffe, Avoiding the CV-jeebies
Morbidezza
Succede che improvvisamente diventino importanti le soft skills (qui le soft skills secondo Alma Laurea) e di conseguenza, senza pensarci troppo, tutti diventano problem solver e creative thinker. Tutti adorano lavorare in gruppo e allo stesso tempo, tutti son dotati di grandi abilità di leadership e intelligenza emotiva. E così, improvvisamente, tutti i cv diventano uguali…
Con le soft skill entra in gioco la psicologia e tutto ciò che riguarda il conoscersi, oltre ovviamente al conoscere delle skill. Il National Career Service inglese propone ad esempio lo Skills Health Check, un test per il checkup delle proprie competenze, da fare prima di iniziare a cercare lavoro.
Le categorizzazioni delle personalità come il “Myers Briggs Type Indicator” (MBTI) diventano dominio pubblico e tema da riviste femminili. Ecco un altro test interessante, da fare consultando il sito www.16personalities.com (delizioso, peraltro). Descritto come «l’oroscopo per chi non crede agli oroscopi», possiamo definirlo uno “standard in chiave pop”. Sulle soft skills si esprimono infine anche gli head hunter, come Roberta Zantedeschi, che ci ricorda che sono sì importanti, ma pure le hard skill avrebbero un certo rilievo…
Avere successo
Non serve addentrarci in riflessioni alte per mettere a fuoco una verità più che evidente: spesso le caratteristiche psicologiche vengono messe in relazione al “successo” e all’“insuccesso”, nella vita come nel lavoro. In un momento storico in cui coesistono molteplici sistemi valoriali, che senso ha parlare di traguardo raggiunto?
Cosa significhino successo e insuccesso, se lo chiedono in molti. Alain de Botton ad esempio, che in questo TED Talk consiglia: «Make sure that our ideas on success are our own». Noi stessi ce lo siamo chiesti, quando abbiamo organizzato uno dei nostri eventi targati Pillole di Futuro dedicato al tema degli errori.
The road not taken
Manca qualcosa, questa è la sensazione. Che nel cv, così come ci hanno insegnato a redigere, manchi qualcosa. E la relazione tra la biografia e le competenze di ognuno di noi, è senza dubbio molto più complessa. Il sospetto è che le cose che abitualmente lasciamo fuori dal cv non siano ininfluenti. Gli errori, i corsi di studi mai conclusi, le cose che reputiamo di non saper fare bene abbastanza, le cose che abbiamo scelto di non fare… Tutti questi momenti di non scelta, questi percorsi rimasti in potenza, hanno avuto il loro peso nella costruzione della nostra identità.
Julian Baggini, filosofo noto nel mondo anglosassone per il suo sforzo divulgativo (cura la sezione filosofia del Guardian), nel 2011 scrive “The Ego Trick”. Il sottotitolo “What does it mean to be you?”, descrive bene il percorso che la pubblicazione compie. Passando al setaccio la storia della filosofia occidentale, il buddismo, le neuroscienze e la psicologia, Baggini sfata l’idea che non siamo qualcosa di “stabile” intorno a cui capitano delle cose, ma siamo piuttosto la matrice, costantemente in variazione, di accadimenti, memorie e pensieri. Naturalmente, lui lo spiega meglio di me, vi lascio quindi a questo TED Talk
La matrice che Baggini disegna in questo video inizia a somigliare di più a qualcosa che “sono più io”, che non le due paginette dell’Europass, vero?
Bibliografia
Robert Frost,
The Road Not Taken
Julian Baggini,
The Ego Trick
Napoleon Hill,
Think and grow rich
Malcom Gladwell,
Outliers
Sitografia
Thanks to Laura Bortoloni